Un po’ di appunti senza pretese su giornalismo e innovazione digitale: cosa significa diventare “digital-first”, chi sembra esserci riuscito e chi non ci sta nemmeno provando. La prendo un po’ larga nell’introduzione ma seguiranno più di 40 esempi con immagini.


C’è stato un momento di svolta nella storia dell’innovazione del New York Times, il giornale più grande e autorevole al mondo: nel 2014 il leak dell’”Innovation Report” ha mostrato a tutti le difficoltà nell’evolvere un business di giornalismo tradizionale in un business digitale.

Uno dei problemi principali evidenziati nel rapporto era la separazione rigida tra la newsroom, cioè i giornalisti, e la divisione “business”, che includeva anche designer, sviluppatori e in generale esperti di “reader experience”. Il superamento di questa divisione è stata fondamentale per trasformare la versione online del New York Times nel prodotto di punta del giornale, tanto che nel 2020 i ricavi dal digitale hanno superato quelli della carta stampata.

Nel report di dieci anni fa si legge:

[Editors] often don’t understand what colleagues who work in these Reader Experience roles can do to help improve our report. More fundamentally, though, there is widespread concern that it is inappropriate to speak with colleagues on the business side’s payroll. […]

This sense of division has prompted the departure of some of our best developers, exacerbating a talent deficit in Technology that slows down projects.

The vast majority of developers on the eighth floor we spoke with believed they were not allowed to set foot in the newsroom, creating a sense of distance and even alienation from a product they are instrumental in creating. Virtually all meetings among our digital teams occur in the tower of the building.

E cioè: chi deve realizzare l’esperienza del sito e dell’app non ha idea di quali siano le esigenze di chi scrive le notizie e la collaborazione è molto limitata.

Nel frattempo era in fase “meteora di Internet” BuzzFeed, dove si lavorava in un modo completamente diverso. Jonah Peretti, fondatore di BuzzFeed:

Our tech team, product team, and data science team have built a very powerful publishing platform that allows us to serve our readers better. We have spent years building publishing formats (lists, quizzes, video, longform, short-form, breaking news, photo essays, explainers), stats and analytics, optimization and testing frameworks, integrations with social platforms, native-mobile apps, and a user-friendly, visually pleasing design.

Il modo di lavorare del New York Times è poi cambiato per essere più integrato. Ben Smith in “Traffic” (Altrecose, 2024) racconta che David Perpich, al tempo direttore dei nuovi prodotti al NYT:

[…] abbandonò la storica tradizione di tenere segregate nel settore commerciale, a distanza dalla redazione del giornale cartaceo, le persone che programmavano e progettavano il sito; al contrario, Perpich istituì dei team che comprendevano giornalisti, product manager e designer, e realizzò iniziative di successo come l’app di cucina.

Oggi i grandi giornali come il NYT, il Wall Street Journal, il Guardian e altri sono eccellenze nella creazione di esperienze innovative legate all’informazione sul web. I reportage interattivi e immersivi del New York Times sono essenzialmente unici per la loro qualità (e quantità!):

Ma la cosa che apprezzo di più sono i tentativi e la capacità di trasportare e trasformare sul web la qualità dell’impaginazione e delle informazioni storicamente stampate su carta.

I pochi che leggono ancora i giornali cartacei avranno notato che le pagine stampate sono spesso dei capolavori di design, un fatto sorprendente soprattutto per le poche risorse e il poco tempo che le redazioni hanno a disposizione per realizzarle.

I migliori quotidiani italiani come La Repubblica, Il Sole 24 Ore e il Corriere della Sera producono ogni giorno decine di ottime infografiche e mappe che danno un’impressione di qualità completamente diversa rispetto al semplice articolo testuale. Alcuni esempi:

(Se qualcuno volesse contestare il fair use di questi screenshot mi scriva (l’email è sulla homepage), prima di scomodare avvocati.)





(Pubblicate dall’autore Roberto Trinchieri su LinkedIn.)





(Trovate molte altre incredibili infografiche del Corriere della Sera realizzate da Sabina Castagnaviz qua su Behance.)



I giornali di carta sono fatti così ogni giorno.

È un lavoro di straordinaria qualità che potrebbe acquisire più valore sul web, il luogo naturale e ideale dove fare esperimenti grafici. Le possibilità in una pagina web sono infinite e le tecnologie per realizzare illustrazioni e visualizzazioni anche interattive sono mature da diversi anni.

Eppure la maggior parte degli articoli negli screenshot sopra non sono pubblicati online (nemmeno per gli abbonati) e quando lo sono sono spogli di box, illustrazioni e grafici.

Nel caso di Repubblica sono riuscito a trovare una delle infografiche, ma l’immagine è stata pubblicata tagliata e sgranata. Sul serio: un pezzo della grafica è tagliata sul bordo e l’immagine ha una risoluzione talmente bassa che appena si leggono le scritte.

(Premi sull’immagine per vederla ingrandita e notare meglio il problema.)

In molti altri casi (uno, due) l’infografica non c’è proprio: l’impegno che è stato dato alla pubblicazione è stato quello di un copia incolla (o nemmeno quello), una gran differenza di attenzione e cura rispetto al giornale cartaceo.

Ci si aspetterebbe che almeno Il Sole 24 Ore quando scrive di borse che “crollano” o titoli che oscillano allegasse qualche grafico in qualsiasi forma a supporto di ciò che sta dicendo, eppure a differenza dell’edizione cartacea, che è sempre piena di queste rappresentazioni grafiche, non c’è mai nulla.

Alcune di queste infografiche andrebbero probabilmente forte anche sui social: ad esempio i riepiloghi dei ritardi previsti sulle tratte ferroviarie sono fatti molto bene e sono utili. Ma incredibilmente non sono mai stati pubblicati online da nessuna parte, né da Repubblica né dal Corriere della Sera, né gratis né a pagamento.


Vediamo come fanno altre testate all’estero.

Il Wall Street Journal è pieno di grafici ogni volta che parla di economia:



Ci sono anche ricostruzioni grafiche:


E audio interattivi. Siamo sul web, si può fare, e quindi si fa. No?

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Sul Guardian invece sono le mappe ad essere molto curate.

Fate caso al fatto che queste non sono immagini né iframe di servizi esterni: sono grafiche vettoriali native per il web (si intuisce siano state realizzate con Adobe Illustrator e poi convertite con uno strumento realizzato dal NYT).

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Anche le foto sono sempre di altissima qualità (3800x2534) con formati recenti e innovativi come AVIF:

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Lo speciale interattivo per le elezioni europee:

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Mentre Repubblica quella sera era messa così:


Poi c’è il New York Times, che di solito supera tutti:

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Questi sono contenuti “digital-first”. Ci spiega cosa significa digital-first l’”Innovation Report” del 2014 (!):

Around the newsroom, this phrase often is used to refer to publishing articles on the web before putting them in print. But outside our walls, digital-first is an all-encompassing strategy.

Digital-first means the top priority is producing the best possible digital report, free from the constraints of the newspaper. The last step is repackaging the best of that digital report for the next day’s paper.

This transition requires rethinking staffing, structure and work processes from top to bottom.

Ho già in mente l’obiezione: è un lavoraccio, è costoso. Può essere. Ma avendo un po’ di esperienza con il web so anche che pubblicare le infografiche e le illustrazioni che già si producono in un modo diverso dagli screenshot sgranati non è né costoso né un lavoraccio.

E se buona parte del tuo lavoro è parlare del mondo, e sai che le mappe possono avere un ruolo importante, dopo un po’ ti attrezzi per realizzarle e pubblicarle con la giusta qualità. È il minimo che puoi fare, se non stai facendo un blog come hobby.

Se il tuo lavoro è parlare di titoli in borsa, trend e numeri, ogni giorno da decenni, è impensabile che tu non abbia gli strumenti per realizzare grafici di qualità da inserire facilmente negli articoli.


Chi ci prova in Italia? Direi pochi e con risultati imperfetti.

Il lavoro migliore di impaginazione online l’ho trovato su Internazionale, la rivista settimanale, che da qualche tempo ha iniziato a pubblicare tutti gli articoli anche sul sito (per gli abbonati).

Il lavoro di trasposizione dell’impaginazione è ottimo, ci sono tutti gli elementi grafici, le immagini, le mappe e i grafici (sono immagini raster, ma meglio di niente).

Spero per loro che siano riusciti ad automatizzare la pubblicazione degli articoli perché si vede che è un lavoro decisamente più complesso di fare un copia incolla del testo (ogni articolo ha un layout apparentemente diverso!).


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Il Corriere della Sera ospita da diversi anni la rubrica Dataroom di Milena Gabanelli.

Contiene spesso infografiche di ottima qualità, ma non si può non notare che è una sezione speciale e isolata del sito e l’abitudine alla buona impaginazione (che è davvero buona) non ha contagiato il resto del sito.


(fonte 1, fonte 2)


Il Sole 24 Ore ha un portale chiamato Info Data dove pubblica o segnala infografiche e visualizzazioni di dati.

Il risultato mi sembra purtroppo un po’ posticcio perché i widget sono degli embed di un servizio esterno di business intelligence (Tableau): sembrano un po’ buttati lì, sono brutti e difficili da usare, oserei dire come tutti gli strumenti di BI.

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Sempre Il Sole 24 Ore ha una sezione Lab24, “l’area data-visual del Sole 24 Ore”.

Il fatto che sia completamente sconnessa dal resto del sito è un po’ un problema. Ho scoperto oggi che esiste (e sono abbonato) e dà proprio l’idea di esperimento, nonostante i lavori siano di qualità e si trovino a volte reportage dettagliati e curati.

(fonte)

In 24+ (un’area “premium” che per qualche motivo è indipendente rispetto al resto del sito) ci sono a volte dei grafici e delle tabelle, inseriti nel contesto. Sono molto curati. Questa dovrebbe essere la normalità, ma queste visualizzazioni non sono presenti sul sito principale del giornale dove viene pubblicata la grande maggioranza degli articoli.

Noto poi che sono realizzate con almeno tre sistemi diversi, di cui due sono piattaforme esterne (Datawrapper e Flourish, da aggiungere a Tableau visto sopra). Va’ a capire.

(fonte 1, fonte 2, fonte 3)


La Repubblica ha avuto per un periodo una sezione “longform” con articoli e inchieste più lunghi e curati. Quando però ti trovi una mappa in PDF cascano un po’ le braccia:

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Ma ci sono frequentemente problemi anche nel rendering degli articoli normali:



Il recente redesign del Post (ilpost.it) ha dato nuova vita a sezioni come i live blog, ora molto più curati ed essenzialmente al livello di testate come il Guardian:

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Con qualche piccola caduta di stile: qua c’è del Times New Roman al posto di Georgia. 🤔

Da quando c’è Isaia Invernizzi ogni tanto spunta qualche data visualization, realizzata con il servizio esterno Datawrapper.

Not bad, not great:

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Di recente nel parlare di economia statunitense hanno incollato degli screenshot di alcuni grafici del New York Times. Not bad, not great.

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Per le Olimpiadi 2024 hanno realizzato una pagina con il medagliere: si nota che è stata realizzata appositamente a mano per l’occasione, e il risultato è di gran lunga superiore rispetto ai terribili medaglieri di Repubblica e del Corriere della Sera. Così si fa!

Le gallerie fotografiche purtroppo sono di qualità abbastanza bassa, si potrebbe fare di meglio. Ho delle speranze che riescano a fare di più e meglio, visto il successo che stanno avendo dopo l’introduzione degli abbonamenti.


Su Wired ogni tanto c’è qualche grafico o mappa. Non puoi vederli se non accetti i cookie, e quando li accetti purtroppo si finisce di nuovo nel mondo di Salesforce e della business intelligence. Risultato: visualizzazioni sinceramente bruttine e difficili da usare (giuro che non capisco come si fa lo zoom).


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Più che risultati, sembrano tutti tentativi ed esperimenti.

Continua a stupirmi che chi dovrebbe avere più risorse per innovare (Repubblica e gli altri grandi) faccia così fatica a produrre qualcosa di buono nel digitale (ho evitato di menzionare la qualità delle app mobile e l’impaginazione delle newsletter per pietà), specialmente se qualcosa di buono lo produce già ogni giorno da decenni sulle edizioni cartacee.

Fa poi strano sentir parlare di investimenti sul digitale da parte degli editori, quando si fa persino fatica a trovare un’immagine che non sia sgranata sulle versioni online dei loro prodotti di punta. Nella mia mente innovare con il web vuol dire altro e l’informazione offrirebbe infinite possibilità di sperimentazione.

Ma c’è ancora domani.